13 – CUCINA TRADIZIONALE CERIGNOLANA – I ciamaruchidde con la menta di Giovanni Montingelli – Foto di Giovanni Montingelli
L’agro di Cerignola è sempre stato ricco, pur nella varietà delle colture che storicamente si sono succedute, di prodotti spontanei commestibili che non richiedevano altro lavoro che essere cercati e raccolti. I ciamaruchidde, piccole lumache tipiche del nostro comprensorio una volta ricercatissime, sono uno di questi prodotti. Ricordo che da ragazzo passeggiando per l’agro e trovandoli, a me veniva spontaneo giocarci invece di pensare che potevano essere mangiati.
I ciamaruchidde, e anche le rane, erano definiti “la carne dei poveri”. Si possono trovare, attaccate ai tronchi degli alberi o a terra nel periodo primaverile, in particolare modo tra maggio e inizi di luglio, ma non è escluso che siano reperibili anche in altri mesi dell’anno, soprattutto dopo una pioggia abbondante che li spinge allo scoperto. Nella stagione della raccolta è consuetudine ancora oggi vedere per strada dei venditori che, ponendo a terra un telo li espongono in piccoli cumuli o chiusi in apposite reti, per venderli ai passanti che, prima dell’acquisto e della richiesta del prezzo, chiedono se i ciamaruchidde sono vokk mudd cioè se la parte terminale del guscio da cui esce la lumaca è dura o no. L’inconveniente infatti è che se i ciamaruchidde sono vokk mudd può capitare che mentre li si mangia, qualche pezzo di guscio finisca in bocca..
La raccolta di queste lumache è semplicissima considerando che esse salgono sulle sterpaglie, sui tronchi degli alberi o si appoggiano agli ortaggi e sono facilmente visibili all’occhio del cercatore in modo particolare dopo la pioggia. Per prepararle si mettono in un recipiente, (spesso viene utilizzato il colapasta) e si coprono con un piatto per evitare che fuoriescano, si lasciano a curare per un paio di giorni e dopo questo passaggio vengono preparate per poi esser cotte.
Durante quella che viene chiamata cura nel recipiente veniva posta farina o crusca che diventava il sano alimento per i ciamaruchidde prima di essere portati in tavola.
Il periodo della cura creava per i bambini il passatempo ideale per giocarci in maniera semplice e spesso banale per esempio facendo in modo da realizzare una corsa di ciamaruchidde; oppure toccando le due “antenne” che, appena sfiorate, si ritirano. I bambini più birbantelli oltre a questi giochi osavano togliere il piatto che ne impediva l’uscita lasciandoli andare liberi dovunque. In questo modo ci si ritrovava gli animaletti anche sugli specchi dove lasciavano lunghi aloni. I bambini per questo venivano puniti perché era poi difficile recuperare tutte le lumache. Insomma piccoli giochi e semplici passatempi che lasciavano scoprire ai più piccoli un mondo reale e sul quale si costruivano storielle divertenti.
Dopo averli curati i ciamaruchidde devono essere lavati con acqua corrente, sfregando esternamente i gusci tra loro e cambiando acqua un paio di volte. Si procede quindi a una cernita eliminando i ciamaruchidde vuoti oppure quelli in cui si nota che l’animaletto è già morto e soprattutto stando attenti a scartare quelli con il guscio rotto ancor più i ciamaruchidde con il guscio rotto. Terminate queste operazioni, si mettono in una pentola piena d’acqua e si cuociono a fuoco lento. Una volta che i ciamaruchidde escono dal guscio si versa il sale quanto basta e viene aumentata l’intensità del fuoco fino ad arrivare all’ebollizione dell’acqua. I ciamaruchidde vengono lasciati cuocere nell’acqua bollente per qualche minuto. Una volta cotti, vengono scolati, messi in un piatto e conditi con aceto o in alternativa limone, olio, sale, origano se gradito, uno spicchio d’aglio e mentuccia fresca.
Questo piatto è un capolavoro di colori e sapori che richiama la nostra terra e la nostra tradizione. Mangiarli è un rito specie per i bambini che senza badare al bon ton abitualmente succhiano la lumachina per estrarla dal guscio e creano così un piccolo concerto di risucchi mentre gli adulti buongustai spesso intingono del pane nel simil brodo che avanza dopo aver mangiato i ciamaruchidde.
Giovanni Montingelli
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